Uno studioso silenzioso. Un archeologo tutto concentrato sul suo lavoro. Non si sente molto parlare di lui. E lui lavora, lavora… come un torrente carsico, che ogni tanto emerge, portando il suo contributo all’analisi della storia, alla conoscenza dell’uomo.
Attilio Mastrocinque è ordinario di Storia romana all’Università di Verona, coordina il dottorato internazionale (con Gent, in Belgio) in Arts and Archaeology e dirige una missione archeologica a Tarquinia nell’area adiacente il tempio di Mithra.
Il Mitraismo rappresenta infatti uno dei campi d’indagine che negli anni ha maggiormente approfondito, forse perché “scavare” in questo fenomeno religioso che tanto intrigò il mondo romano in età imperiale ha una valenza multipla: è uno scavare nel terreno dell’archeologia, ma anche nei segreti di questa religione misterica e, alla fine, nella parte più intima dell’essere uomo.
L’ultimo suo libro in materia è in inglese e pubblicato in Germania per necessità editoriale: The Mysteries of Mithras: a different account, Orientalische Religionen in Der Antike 24, Tubingen, Mohor Siebeck 2017. Ma in italiano troviamo ancora il suo Studi sul Mitraismo (il Mitraismo e la magia), Giorgio Bretschneider 1998. Un elenco stralciato delle sue opere, purtroppo in edizioni non sempre molto accessibili, è significativo dei suoi interessi e suscita curiosità di lettura: Manipolazione della storia in età ellenistica: i Seleucidi e Roma, L’Erma di Bretschneider 1983; Santuari e divinità dei Paleoveneti, La Linea Editrice 1987; Lucio Giunio Bruto. Ricerche di storia, religione e diritto sulle origini della repubblica romana, La Reclame 1988; L’ambra e l’Eridano, Zielo 1991; Romolo (la fondazione di Roma fra storia e leggenda), Zielo 1993; Appiano. Le guerre mitridatiche, a cura di, Mondadori 1999.
E’ appena uscito il tuo nuovo libro in inglese, The Mysteries of Mithras, per fare luce sul Mitraismo. Riesci a definire in due parole in cosa consisteva questo culto misterico?
Si trattava di un culto imperiale, nel senso che il primo scopo degli adepti non era quello di andare in un ipotetico paradiso pagano, ma più concretamente ottenere il favore dell’imperatore e dell’amministrazione imperiale. C’era anche l’idea che l’anima ascendesse al mondo degli astri e degli dei e pervenisse all’aeternitas attraverso le sette sfere planetarie, ma non era questo il motivo fondamentale di chi aderiva a questa antica religione ellenistica.
Esistono documenti evidenti del legame fra Mitraismo e culto imperiale?
Le iscrizioni trovate nei mitrei spesso chiariscono che sculture e altri monumenti dispendiosi erano stati dedicati a Mithra in favore dell’imperatore e della famiglia imperiale. Le iscrizioni non erano state fatte per restare segrete, ma per far sapere ai destinatari che un qualche Pater (cioè capo di una comunità mitraica) aveva speso un’importante somma perchè Mithra aiutasse l’imperatore e l’impero. Un investimento per mettersi in mostra presso l’establishment ai fini della propria affermazione sociale.
In passato il Mitraismo è stato messo in relazione col Cristianesimo. Quale dei due culti deriva dall’altro?
Mitraismo e Cristianesimo non ebbero contatti durante la loro genesi, cioè nel I sec.d.C. Tra II e IV secolo alcuni autori cristiani sostennero che il demonio aveva introdotto imitazioni dei sacramenti nei misteri di Mithra, per confondere le persone. In realtà si trattava di somiglianze imprecise e generiche, come l’uso rituale di acqua e vino, paragonato con l’Eucarestia. Sappiamo però che una setta eretica cristiana del II secolo, gli Ofiti o Naasseni, “veneratori del serpente”, si era ispirata al Mitraismo per concepire una scala che portava al paradiso, nella quale ogni pianeta costituiva un gradino. Peraldtro, questa ispirazione era superficiale e parziale, perchè la scala delle sette iniziazioni mitraiche, corrispondenti ai sette pianeti, era percorsa dagli iniziati fino al quarto gradino, sacro a Giove, mentre pochi raggiungevano i gradi superiori. Gli aderenti alla setta degli Ofiti invece dovevano percorrere tutta la scala se volevano raggiungere la porta del paradiso.
Ma perchè i Romani veneravano Mithra, questo dio persiano, in grotte o ambienti chiusi e segreti?
In età repubblicana Roma non aveva una religione misterica, incentrata sui mysteria, un insieme di credenze e pratiche rivelate solo agli iniziati con l’obbligo di non profanare il segreto. Ma durante la prima età imperiale, nel I sec. d.C., un geniale teologo di cui non si conosce il nome, probabilmente di Tarsi, in Cilicia, propose una spiegazione della nascita dell’impero che, appunto, doveva essere tramandata segretamente, in modo da entrare a far parte di un patrimonio sapienziale esclusivo. Due sono state le chiavi di lettura principali che hanno permesso di comprendere le molte scene raffigurate su bassorilievi e affreschi mitraici. Una è il Gran Cammeo di Francia, l’altra è la IV Ecloga di Virgilio, uno dei testi poetici di ambito bucolico più famosi di tutti i tempi, che ha fatto di Virgilio il profeta dell’Impero e anche del Cristianesimo.
La IV Ecloga celebra la nascita di un bambino prodigioso, il primo della nuova età dell’oro…
In effetti, Dante era convinto che Virgilio avesse predetto la nascita di Gesù, ma i Romani avevano dato letture diverse di questo componimento poetico che inizia ricordando una profezia della Sibilla Cumana. Firmico Materno, scrittore e astrologo romano vissuto nel IV secolo, sapeva che il Mitraismo aveva un profeta, e cita alcune frasi in greco che probabilmente aveva copiato dal testo principale che veniva letto nei mitrei. La serie di pannelli minori che fiancheggia la scena di Mithra che sacrifica il toro ripercorre la lettura profetica della storia presente in Virgilio: Saturno ritorna sulla terra e dà a Giove i fulmini con cui quest’ultimo annienta i Giganti. Le guerre civili erano state interpretate dai poeti di epoca augustea come una sorta di Gigantomachia o Titanomachia, in cui la generazione corrotta scompare dal mondo. Saturno riconduceva l’età dell’oro e le immagini mitraiche lo mostrano mentre dorme e sogna; in un caso sogna la dea Vittoria e in un altro gli si avvicina Eros, l’amore. D’altro canto, lo stesso san Girolamo (347-419/420), uomo di vastissima cultura e Padre della Chiesa, afferma che mithra era sorto in modo simile a Erittonio, il primo abitante di Atene, nato dalla terra fecondata dal seme di Efesto, che desiderava unirsi con Atena. Dunque Saturno sognò Vittoria e il suo seme fecondò la roccia da cui nacque Mithra, e tale nascita del bambino divino segue la scena di Saturno che dorme. Virgio, per parte sua, celebra la nascita del primo bambino della nuova generazione, dopo che la generazione corrotta era stata eliminata. Nell’Eneide egli indica in Augusto l’uomo che sarebbe nato dalla stirpe di Enea che a quest’ultimo era promesso da tante profezie. Sui rilievi mitraici segue la nascita di bambini dalla cima di un albero, come nel mito delle generazioni umane (dell’oro, dell’argento, del bronzo e del ferro), in Esiodo, che parla di alberi da cui nascono gli uomini. Poi viene l’immagine di Mithra che miete le spighe, come nella poesia virgiliana, in cui si descrive il campo biondo di spighe mature.
E in tutto questo quale significato riveste l’uccisione del toro, che costituisce la scena centrale di ogni rappresentazione mitraica?
Raffigura il trionfo imperiale, il cui atto culminante era costituito proprio dal sacrificio di un toro. E’ la Vittoria. Questa iconografia mitraica deriva, appunto, da quella della Vittoria che sacrifica un toro. Il sacrificio trionfale compiuto da Ottaviano nel 29 a.C., quando le porte del tempio di Giano, dio della guerra, vennero chiuse, dopo le vittorie nei Balcani, dopo la battaglia di Azio e la sottomissione dell’Egitto, segnò la nascita dell’impero. In qualche rilievo mitraico il toro compare su una barca e la storia di Mithra che lo uccide era una profezia della guerra sul mare Ionio fra Ottaviano e l’ultima rappresentante della monarchia egiziana. Uno dei simboli del grado del Leone, quello tutelato da Giove, era il sistro, vale a dire lo strumento musicale egiziano che, secondo i poeti augustei, Cleopatra agitava quando sfidò Giove stesso e il Campidoglio romano. L’affresco del mitreo Barberini (a Roma, sotto il palazzo Barberini) mostra il dio Sole che emette un raggio, il quale attraversa il Capricorno e raggiunge Mithra che sta sacrificando il toro. Il Capricorno era il segno sotto il quale Augusto era n ato come imperatore, il 16 gennaio del 27 a.C., quando ricevette dal senato il titolo di Augusto. Ma quello che lo rendeva più simile a Mithra era la sua localizzazione lungo la linea degli equinozi, che attraversava lo zodiaco della Libra dell’Ariete. Il filosofo greco Porfirio (233/4-305 circa) afferma che tale era la localizzazione cosmica di Mithra e la cosa è confermata da molti rilievi e dipinti in cui il dio ha la Libra sopra la testa e l’Ariete sotto il piede sinistro. Ma in realtà era Augusto a essere nato il 22 o il 23 settembre del 63 a.C., giorno dell’equonozio d’autunno, in Libra, e nel segno della Libra Virgilio, nelle Georgiche, preconizzava che egli sarebbe vissuto come un dio dopo la sua morte.
In effetti, le scene che fiancheggiano Mithra e il Sole, e in esse si erano già riconosciute allusioni all’ideologia imperiale, specie quella di Mithra che sale sul carro del Sole diretto verso l’alto del cielo. Questa iconografia richiama l’apoteosi imperiale …
Infatti, anche questa scena allude al culto imperiale. Sulla parete destra dei rilievi e degli affreschi il Sole sembra venire minacciato da Mithra, si inginocchia davanti a lui, poi si riconcilia, riceve da Mithra la corona radiata e infine conduce Mithra in cielo, dove i due pranzano insieme. Nella storia colui che era in cattivi rapporti con Augusto era Tiberio, che alla fine si riconciliò col principe e da lui ricevette i poteri imperiali, celebrando poi l’apoteosi del padre adottivo, Augusto. Per di più, Tiberio, quando da generale gli venne tributato il trionfo dopo le campagne contro i Germani, si fermò davanti alla tribuna di Augusto e si inginocchiò davanti a lui. La profezia mitraica preconizzava la fondazione dell’impero.
Non hai ancora parlato del Gran Cammeo di Franci: perchè rappresenta la seconda chiave di lettura del Mitraismo?
Questo capolavoro della glittica della prima età imperiale, databile intorno al 23 d.C. e conservato al Cabinet des Médailles di Parigi, raffigura, al centro, Tiberio in trono insieme a sua madre Livia e ai figli di Germanico. In alto, al centro, c’è il divo Augusto, in cielo come un dio, fiancheggiato da Druso, figlio di Tiberio, e germanico, nipote del secondo imperatore., che erano saliti al cielo per raggiungere Augusto divinizzato. Subito sotto Augusto c’è un dio vestito come un persiano, con i pantaloni e il berretto frigio o persiano, che regge il globo cosmico, simbolo del dominio universale dell’imperatore. Poichè Mithra era comunemente identificato con Apollo e con il Sole, si può capire come questo dio affiancasse il divo Augusto in cielo, dato che Apollo era il nume tutelare e quasi l’alter ego di Augusto. Sotto Tiberio Mithra era entrato a far parte dell’ideologia imperiale, per lo meno in certi ambienti, e questo preludeva alla diffusione dei mysteria nell’impero, come sembra sia avvenuto a partire dagli anni 70 d.C.
Ma allora il Mitraismo era un culto persiano o romano?
Non credo che sia stato un teologo persiano a concepire i misteri di Mithra, ma piuttosto, come ho accennato sopra, un colto abitante dell’Anatolia, forse un cittadino di Tarso, dove la religione persiana si era radicata molto presto, fra VI e IV sec. a.C., sotto il dominio dei sovrani achemenidi. Ma non si trattava di Zoroastrismo puro, l’antica religione persiana, poichè riconosceva un piccolo pantheon, in cui Mithra aveva una grande importanza. Il famoso monumento funerario diAntioco I sul Nemrut Dag dimostra che nella religione armena della Commagene si venerava Mithra iknsieme a Eracle e Zeus, identificati con dèi persiani. In queste terre, e anche in Persia, Mithra era un protettore dei re e la sua iconografia era volutamente analoga a quella di certi sovrani. Sul Nemrut Dag Mithra e Antioco sono uguali e le iscrizioni fatte incidere da Antioco I dicono che Mithra lo aveva accompagnato e aiutato sempre e che qualche volta gli era anche apparso, Questo ruolo di protettore dei re, insieme all’identificazione con Apollo, candidavano Mithra a diventare il nume tutelare di Augusto, una sorte di alter ego del primo imperatore, al pari di Apollo. Dunque Mithra era sì un dio persiano, ma fu trasformato in un dio misterico protettore dell’impero romano. Solo gli iniziati potevano comprendere il significato profondo delle strane e enigmatiche scene che si vedevano nei mitrei, in qualche modo ricevendone una consapevolezza nuova e diversa della storia di Roma, della storia dell’impero e, in fin dei conti, della propria storia personale.
Intervista a cura di Giulia e Piero Pruneti
Archeologia Viva n. 189 – maggio/giugno 2018 – pp. 78-80