La città di Capua non fu inferiore a Roma per nulla, e se il suo colosso fu il più ricco e decorato del mondo Romano, come Roma, annoverava tra i suoi monumenti di culto un Mitreo, anch’esso riccamente decorato, il più bello di tutti quelli presenti nell’impero forse.
Il culto di Mitra, di origini orientali e specificamente di origini Persiane, fu portato a Roma quasi sicuramente dai prigionieri di guerra poi destinati ad essere dei gladiatori.
Decorato mirabilmente con un ciclo di affreschi di pregevolissima fattura, ancora oggi nonostante l’incuria del tempo, l’azione aggressiva dell’umidità poiché è sottoposto al livello stradale di diversi metri e, la negligenza dell’uomo nel custodirne l’integrità, lascia intravedere tutta la freschezza della sua esecuzione.
Il suo ritrovamento fu frutto del caso, esso fu rinvenuto durante il corso di uno scavo per la costruzione di un edificio in un vicolo della via Pietro Morelli nel 1922 (a’ chiazza e Sant’ermo) vicolo che oggi porta il suo nome.
A struttura sotterranea, è formata da una camera, che misura circa m. 12 di lunghezza per 3 di larghezza, soffitto con volta a botte e lucernai che lasciano passare la luce che proviene dall’esterno, il Mitreo, era situato nei pressi dell’antico Capitolium, foro principale della metropoli Capuana.
Ai margini della struttura, vi sono i posti a sedere per la collocazione degli adepti che partecipavano alle funzioni, tutt’intorno sulle pareti laterali sono presenti raffigurazioni illustranti i riti d’iniziazione degli adepti che, per essere ammessi, erano sottoposti a prove dolorose per vari gradi; concludevano le prove con una sorta di battesimo nel sangue dell’animale sacrificato, (taurobolio) il soffitto è decorato con un motivo di cielo stellato.
Il vero capolavoro dell’intera struttura però è la raffigurazione del “Taurocedio”, posto sulla parete centrale, su uno sfondo roccioso,
il dio Mitra raffigurato con un vestito tipicamente orientale di colore rosso riccamente decorato, cappellino frigio, brache attillate e mantello azzurro con sette stelle rappresentanti i sette pianeti, con un gesto atletico ma nel contempo senza mostrare fatica ne sforzo alcuno, premendo il ginocchio sul dorso dell’animale, affonda nel collo del toro che tiene con la testa tirata all’indietro un pugnale, tutt’intorno sei figure che rappresentano: il sole, la luna, l’oceano, la terra e due arcieri ministri del dio (Cautes e Cautopates).
Ai piedi del toro un serpente che occupa l’intero spazio e un cane che si avventa sull’animale ferito leccandone il sangue che sgorga copioso dalla ferita mortale.
L’entità e la bellezza di questo santuario, ci lascia presupporre che i seguaci di Mitra, a Capua fossero molto numerosi, e pur vero però che Capua fu la città dei Gladiatori i quali, come detto in precedenza portarono il culto di Mitra in occidente.
Il dio Persiano uccidendo il toro, rinnova l’intera natura. La dottrina di Mitra riferisce che esso (come Gesù), alla fine dei tempi ritornerà per salvare il mondo, e con un nuovo taurocedio lo rinnoverà e con esso il genere umano.
Fonte: www.ilportaledelsud.org, Gennaio 2010
Localizzazione: Rione Sant'Erasmo, Santa Maria Capua Vetere (Ce)
Periodo artistico: II sec. d.C
Note storiche:
Il Mitreo fu scoperto nel 1922, ma per un decennio per visitare l’ipogeo si doveva scendere mediante una botola rudimentale con scale a pioli di legno. Già in occasione di un convegno sui monumenti della città (1925), i dotti auspicavano un intervento dall’alto, una specie di petizione al ministro della Pubblica Istruzione, on. Pietro Fedele, per la creazione di un atrio coperto e scale in muratura.
Il tempo passava e, nel corso di una visita (1930) della principessa Maria Josè, novella sposa del principe Umberto II, costei si rifiutò di entrare nel mitreo, impresa spericolata per una donna, nonché regale. Così, nel giro di due anni, l’avv. Fratta, podestà, che già aveva contribuito generosamente alla sistemazione dell’anfiteatro di propria tasca, realizzò la stanza d’accesso e le scale in muratura, all’accesso alle quali furono incastonati un rilievo di gesso, riproducente la Tauroctonia, ed una lapide in latino, che ricorda l’evento, opere eseguite dallo scultore Amedeo Ventriglia.
Inoltre, un enorme fascio littorio di epoca romana in pietra, fu incastonato nel muro accanto alla lapide (tra le prime vittime della rabbia iconoclastica resistenziale, sfogata all’indomani del 25 luglio 1943).
L'emblema fascista, scardinato e rimosso, e si trova nel recinto dell'Anfiteatro Campano, appena si entra sulla sinistra . Nella prima immagine allegata è possibile vedere il fascio di cui si parla.
Nel Mitreo sono stati scoperti vari residui di materiali archeologici, che qui enumeriamo nella parte mediana della cripta:
- frammento di antefissa in terracotta, che riproduce in bassorilievo a stampo un gruppo di centauri;
- un recipiente di terracotta per acqua di forma ovoidale;
frammento di una lastra marmorea con resti di rilievi ornamentali;
- due piccole basi di marmo ed una di travertino;
frammenti di una colonnina scanalata di terracotta;
- due frammenti di lastre marmoree con resti di rilievi decorativi;
- tre frammenti di transenne marmoree e di tufo;
- un frammento di lastra marmorea rettangolare con resti di un’iscrizione;
- numerose lucerne fittili, di colore rossiccio, frammentate;
- un’anfora di terracotta grossolana, frammentaria all’orificio ed alla base appuntita;
- piccola coppa di terracotta grezza.
Inoltre, nello scavo delle fondazioni di un muro di rinforzo a sostegno della volta, si è raccolta fra i pietrami una testina fittile di Minerva.
Questi reperti archeologici non sono visibili nel Mitreo, probabilmente si trovano nei magazzini di qualche museo ma non in quello locale, tuttavia in un muro del Mitreo esiste un bassorilievo marmoreo dove si vedono scolpite le figure di Amore e Psiche, che alludono al mito dell’anima elevata dall’amore mistico, accolto nella tradizione funeraria e raffigurato spesso nelle catacombe. Il piccolo rilievo, derivato da qualche monumento funerario romano, risale al II-III secolo d.C..
La diffusione a Capua dei culti di Cibele, di Serapide, di Iside ed, in particolare, di Mitra era stata sostenuta da Giacomo Rucca, che riporta un’epigrafe catalogata come apografa da Theodor Mommsen (Cil., 10.3793) e pubblicata da Julius Beloch (Inscr. 411), ubicata nel giardino Teti fino a qualche decennio fa, che attestava la presenza del dio persiano a Capua e, di conseguenza, della cripta:
DEO SCHOLAR
SEX FIRMIVS CHARITO
EX VOLVÑ ET NVTV
MITRAE FEC
Tuttavia, la città era troppo grande per avere un solo Mitreo, e sicuramente ce ne erano altri, forse andati successivamente distrutti o forse ancora da scoprire.
La chiusura del mitreo si pone nella seconda metà del IV secolo d.C. L’edificio fu spogliato degli arredi e dei rivestimenti più preziosi; la figura di Mitra fu privata di una gemma che era incassata all’altezza del collo e il viso sfigurato; la galleria di culto fu parzialmente interrata anche con materiale in uso nel monumento stesso (vasi, lucerne).
Modalità non dissimili furono seguite, ma alla fine del V secolo d.C., per la sconsacrazione del culto praticato nel sacello di via de Gasperi: abduzione degli arredi sacri e cancellazione del volto dell’immagine di divinità dipinta su una delle pareti del vano di culto sotterraneo.
In allegato la prima immagine mostra il grande simbolo fascista che era presente al Mitreo.
Le tre foto seguenti, in bianco e nero, sono del 1924 e mostrano alcuni dei reperti trovati nel Mitreo.
Illustrazione opera:
L’interesse maggiore della cripta consiste nella tauroctonia. Il grande affresco semicircolare (diametro di base 3,40 m e altezza 2,70 m) è incorniciato da una sottile striscia verde dello spessore di un paio di centimetri e, nella parte inferiore, da una fascia alta 0,40 m, dipinta ad imitazione del marmo antico.
E’ raffigurata una grotta circondata da massi, dipinta in colore brunastro sullo sfondo, che si distacca sul cielo azzurro chiaro. Al centro spicca la figura del giovane dio in costume orientale e berretto frigio, rappresentato nell’atto di immergere la spada nella cervice di un bianco toro. Con il ginocchio destro poggiato sulla groppa e il piede sulla coscia, il nume con la sinistra trattiene la bestia per le narici e con la destra vibra il colpo. Il volto rosato è quasi distrutto a causa, sembra, al momento della scoperta di una sassata.
Sotto Mitra il toro, caduto sulle zampe anteriori, contrae le membra nello spasimo supremo della morte: la testa rivolta verso l’alto, la bocca e le narici aperte e gli occhi spalancati.
Dalla coda spuntano tre spighe dorate e dalla sua ferita scorrono rivoli di sangue, che un cane, dal pelo fulvo maculato, corre a leccare. Invano un giallo scorpione tenta di impedire il miracolo e un lungo serpente, dalle squame brunastre e dal ventre verde, striscia al di sotto per raccogliere il sangue.
Il nume indossa una tunica rosso-vermiglio, simbolo dello sfarzo orientale, con un bordo verde e frange giallo-oro sia all’orlo della tunica che a quello delle maniche molto corte. Da queste ultime fuoriescono maniche, aderenti al braccio, con all’estremità bordi simili a quelli della tunica. Dalla scollatura un po’ larga è visibile un’altra tunica verde-azzurra, bordata d’oro.  Dalla cinta gli pende il fodero del pugnale, legato alla spalla con una striscia verde. Il mantello, gonfiato dal vento, è rosso con ricami in oro all’esterno e la fodera sottostante è azzurra con sette stelle in giallo-oro, simbolo evidente della volta del cielo con i pianeti.
Ai lati di Mitra stanno i due dadophoroi in costume frigio, armati di arco e faretra. Sono, rispettivamente a sinistra e a destra, Cautes (Sol Oriens) con la face sollevata e Cautopates (Sol Occidens) con la face abbassata. Simboleggiano la doppia incarnazione del nume: il sole all’alba e al tramonto, la fanciullezza e la morte, la primavera e l’inverno. Il primo indossa una tunica giallo-oro con bordi verdi, un mantello e un pileus rossi. Il secondo ha solo il berretto frigio in rosso, mentre la tunica e le anassiridi sono grigiastre ed il mantello è bianco.
In alto a sinistra compare il busto del Sole con un raggio di luce che dal nimbo radiato in oro, che gli circonda la capigliatura rossiccia, si dirige verso Mitra. E’ ricoperto da un manto rosso e regge uno scettro dorato. Davanti a lui, appollaiato su una roccia sporgente, è presente il corvo, suo messaggero
A destra si staglia la Luna, che brilla di fioca luce riflessa. Indossa un mantello bianco e la carnagione chiara contrasta con il colore rosso-bruno della capigliatura, che scende sulle spalle e sul petto.
In basso, ai lati della scena, sono raffigurate due teste più grandi delle altre: a destra Tellus, una donna dalla carnagione scura e dai capelli verdi, che simboleggiano la vegetazione a sinistra Oceanus, barbuto con chele di aragosta sul capo. I capelli e la barba sono azzurri in contrasto con il colore rosso-bruno del volto e delle chele.
Altre pitture oggi visibili chiaramente, oltre alla tauroctonia, sono i due dadophoroi, rappresentati nei pannelli lungo le pareti laterali, alti m. 1,30, in costume orientale. A destra, nel secondo pannello, Cautes solleva la fiaccola al di sopra di un’ara fiammeggiante e al suo fianco è raffigurato il gallo, simbolo evidente del sorgere del Sole. A sinistra, nel primo pannello, Cautopates abbassa la fiaccola al di sopra di un’ara accesa.
Nel terzo pannello, sempre a sinistra, è incastonato un bassorilievo marmoreo con la rappresentazione di Amore e Psiche. Il giovane, nudo ed alato, regge la fiaccola nella mano sinistra e con la destra prende per il braccio Psiche, alata e velata da una veste trasparente, di cui regge l’orlo.
Nella lunetta della parete di fronte all’altare è dipinta la Luna, una giovane donna dai capelli castani legati dietro il capo, coperta da un manto bianco svolazzante. In piedi su una biga, regge le redini e incita con la frusta i cavalli, uno bianco e uno nero. La pittura, ancora ben visibile al momento della scoperta, è oggi leggermente deteriorata e il fondo è ridotto ad una massa verdastra.
Sulle facciate dei podia prolungati si trovano altre pitture realizzate con tecnica sommaria. Già scarsamente visibili all’epoca della scoperta, oggi sono per lo più cancellate. I monocromata in rosso su fondo bianco rappresentano varia scene dell’iniziazione dell’adepto, il quale nudo e accompagnato dal mystagogus e del sacerdote attraversava i diversi gradi di iniziazione, che come dice San Gerolamo (ep. 107,2 ad Laetam) erano sette: Corax, Nymphus, Miles, Leo, Perses, Heliodromus e Pater.
Bibliografia:
1.CUMONT F., Relazione del ritrovamento del mitreo di Capua Vetere, in Comptes-Rendus de l’Academie des Inscriptiones et Belles Lettres, 1924
2.MACIARIELLO N., Politeismo e mitraicismo a Santa Maria Capua Vetere, 1939
3.MINTO A., Scoperta di una cripta mitraica a S. Maria Capua Vetere, in Notizie degli scavi. Atti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, 1924
4.PERCONTE LICATESE A., Capua antica, edizione Spartaco, S. Maria Capua Vetere, 1997
5.Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta (a cura di), Santa Maria Capua Vetere: guida alla storia e all’arte della città, Santa Maria Capua Vetere, 1996.
La scheda è stata realizzata da Graziano Daniela Maria.
Fruibilità: E’ possibile visitare il mitreo tutti i giorni escluso il lunedì con un unico biglietto che comprende anche la visita all’Anfiteatro e al Museo dei Gladiatori, siti in Piazza 1° Ottobre.
Data ultima verifica: 01/06/2010
Rilevatore: Graziano Daniela Maria