I napoletani di inizio ‘900 la conoscevano bene. Era la Chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi, in Vicolo San Carminiello ai Mannesi. Perché “Carminiello”? Perché percorrendo quella stradina si arrivava ad una chiesetta in cui tutto era minuto, tutto sembrava ispirare tenerezza. Perché “Mannesi”? Perché in quei luoghi lavoravano i falegnami (detti mennesi dal latino “manuensis”, che lavoravano con le mani, artigiani).
Quella chiesa era lì dal XVI secolo. A fine 800 ne parla il Chiarini, citando i recenti restauri, alcune statue interne, e lamentando le dolorose sottrazioni indebite ad opera di ignoti. Insomma, una chiesetta senza troppe pretese, collocata però in un contesto di strade di tutto rispetto: Vicolo San Carminiello ai Mannesi era infatti una perpendicolare di Via Duomo, parallela meridionale a Via dei Tribunali.
Nel 1943, con i sanguinosi bombardamenti su Napoli, quel poco di mura che proteggevano gli interni della chiesetta di Santa Maria del Carmine ai Mannesi, crollò. Dalle ceneri della chiesetta rinacque un tesoro assopito da secoli. Rivide la luce quello che oggi è conosciuto come Complesso Monumentale di Carminiello ai Mannesi. Di cosa si tratta non è semplice dirlo, visto che parliamo di diverse stratificazioni storiche.
Leggere la storia di questo sito archeologico è come leggere i cerchi concentrici di una sezione di quercia. Tutto ciò che nel tempo è stato costruito in questo posto, risulta giustapposto a qualcosa di precedente. E risalendo a ritroso attraverso quelle tracce si giunge fino all’antichità dei romani. Più precisamente alla Napoli della Roma repubblicana.
Il primo strato, quello più antico, come detto, appartiene ad un periodo storico compreso nei primi quattro secoli prima di Cristo. Lo si legge nell’opus mixtum (latericium e reticularum), la cui caratteristica principale è quella di resistere ai terremoti. Difatti è ancora lì. Del periodo repubblicano anche il pavimento in mosaico a tessere bianche e nere.
Alla Roma imperiale di fine primo secolo d.C. appartiene invece un complesso termale di cui si ha traccia attraverso una vasca superstite. Il livello di avanzamento raggiunto dagli ingegnosi romani per il loro relax, prevedeva addirittura quattro vasche differenziate per utilizzo: vasca per bagni caldi, vasca per bagni a vapore, vasca per bagni tiepidi e vasca per bagni freddi.
Nel secondo secolo d.C. fu invece fondato il pezzo forte del complesso di Carminiello ai Mannesi: il mitreo.
Le rappresentazioni romane di Mitra lo ritraggono quasi sempre nell’atto di uccidere un toro, e questa raffigurazione la ritroviamo anche nel complesso monumentale di Carminiello ai Mannesi. In realtà nel mitreo di Carminiello è visibile solo parte di questa raffigurazione, e cioè le spighe di grano scolpite in luogo della coda del toro.
Le spighe di grano sono il retaggio di un’antica simbologia della fertilità. Dal sacrificio del toro, infatti, Mitra sprigiona quella forza vivificante in grado di creare il cosmo e l’universo. La fertilità, la nascita, la generazione, tutto è racchiuso in quelle tre spighe di grano che si scorgono con difficoltà in quanto resta del bassorilievo raffigurante la tauromachia di Mitra, a Carminiello.
Il toro invece è sicuramente un’influenza greca. Non possiamo evitare il parallelismo con il Minotauro di Teseo, o con quelle rappresentazioni che vedono Nike alle prese col sacrificio di un toro. Altre contaminazioni simboliche di dubbia provenienza sono lo scorpione, il corvo, il serpente, il cane, il sole, la luna, due lampadofori.
Lo scorpione pizzica i testicoli del toro, il serpente succhia il suo sangue, il corvo ed il cane hanno ruoli non chiari, perchè poche sono le fonti testimoniali del racconto mitologico, il sole e la luna sono l’essenza di Mitra, i due lampadofori reggono altrettante fiaccole, l’una verso l’alto, l’altra verso il basso, e simboleggiano sicuramente i cicli di vita e morte.
Il mitreo di San Carminiello ai Mannesi sembra un tempietto atipico. Non ha nulla dei templi e degli altari dedicati alle altre divinità. Somiglia piuttosto ad una grotta, o sembra volerne riprodurre l’effetto. Il culto di Mitra, difatti, era spesso celebrato nel sottosuolo, abitudine dovuta alla leggenda secondo cui Mitra sarebbe nato in una grotta il 25 dicembre.
Vi ricorda niente quest’ultima circostanza? Ricorda molto da vicino la nascita di Gesù Cristo, anch’egli sceso sulla terra per aiutare il genere umano, com’era nella funzione originaria del Dio Mitra persiano. E proprio il Cristianesimo, che tanto bene attecchì, col tempo, nell’impero romano, rischiò inizialmente di soccombere sotto i colpi di un mitraismo che riscuoteva a Napoli e a Roma un enorme successo.
Fonte: www.vocedinapoli.it, 26 lug 2017
Orari di apertura: Il complesso è sempre visibile dalla strada oppure visitabile su richiesta prenotando al numero 081 440942